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Storia della famiglia Ottoboni

La famiglia Ottoboni,  originaria secondo alcuni storici della Dalmazia, è dal tardo medioevo residente prima a Padova poi a Venezia; altri rami sono documentati a Firenze  e nel  Friuli. Gli Ottoboni si arricchirono con i commerci fra Venezia e i paesi mediterranei e dal XV° sec. si distinsero nella difesa marittima contro la crescente espansione turca.
A Venezia furono ascritti fra i "cittadini originari" e vissero per secoli nell'Ordine dei Segretari ducali della Repubblica dal quale si eleggeva il Cancelliere Grande: nel 1559 ebbero il primo Cancelliere Grande e nel 1646 ottennero il patriziato veneto.

   Aldobrandino,  membro  del  Consiglio  degli  Anziani  della Repubblica di Firenze e uomo politico onorato per la sua integerrimità e per i meriti acquisiti nella guerra contro Pisa, nel 1258 ebbe  solenni funerali pubblici e fu tumulato nella Chiesa di  S. Reparata in Firenze in un sepolcro "elevato più che niuno altro" (Villani). Una strada a Pietrasanta (LU) lo ricorda per aver salvato dalla distruzione il Castello di Motrone.

    Bonaccio di Ottobono fu eletto Gonfaloniere della Signoria di Firenze nel  1294.Subito dopo la famiglia,a seguito delle lotte fra Guelfi e Ghibellini, lasciò Firenze (ved. "Memorie dell'antica e nobile famiglia fiorentina degli Ottoboni raccolte nel 1731", in Arch. Ottoboni).

   Antonio, capitano navale al servizio della Repubblica veneta, nel 1470 con la sua galera penetrò da solo in mezzo all'armata nemica nel porto di Negroponte (dove alcuni Ottoboni risiedevano) assediato  dai turchi e vi portò soccorso.

   Stefano, suo figlio, servì la Repubblica veneta in qualità di capitano di nave; nel 1499 con la  sua nave "Pandorra" fece gravi danni  all'armata di Bajazet II e, presa a Capo Zonchio nella Morea una nave turca, accesosi improvvisamente un incendio, vi restò incenerito: lasciò nove figli, che furono adottati dalla Repubblica.

     Ettore (n. 1472) di Stefano fu chiamato nel 1499 all'Ufficio del Sal, svolse  gli  incarichi di decano(1504) e poi guardian grande di S. Marco, gastaldo dei Procuratori  "de ultra" (1518), patron di nave e ammiraglio nel 1522. Fece erigere nel 1512 nella Chiesa di S. Antonio di Castello in Venezia  un  altare  con  la  pala  dei "Diecimila  Martiri" dipinta  nel  1515  da  Vittore  Carpaccio,con  adiacente sepolcro marmoreo concesso nel 1512 a lui e suoi discendenti dai canonici regolari  di  S.  Salvatore dell'Ordine di S. Agostino  di  cui  era  priore  Francesco  Ottoboni  suo  zio, fondatore della scuola dei Diecimila Martiri.  Il fratello Nicolò (1474-1538) fu apprezzato segretario ducale nel 1514, collaborò con molti provveditori d'armata e portò a buon fine delicati incarichi per conto della Repubblica. Antonio di Stefano fu quaderniero dell’ Avogaria, Gianfrancesco di  Ettore,  grande  letterato,  segretario di Pregadi nel  1533,  segretario del Consiglio dei Dieci nel 1544,  nel  1559  per i suoi meriti fu nominato dalla Repubblica veneta alla carica di Cancelliere Grande. Gerolamo di Ettore fondò una compagnia di navigazione e risiedette in Cipro a "Baffo" (Paphos).

      Leonardo di Giacomo (fratello di Gianfrancesco), dottissimo in  filosofia,  teologia  e  lingue  orientali,  ambasciatore veneto  in  Germania,  Spagna  e  Portogallo,  segretario  di Pregadi nel 1570, fu inviato al Concilio di Trento occupando la carica di segretario del Consiglio dei Dieci (1588) e nel 1610 fu innalzato all'onore di Cancelliere Grande.

  Per aver avuto da molti anni uomini celebri e lodati, per i servizi resi  da Pietro, Gio Francesco ed Ettore con valore e fedeltà alla Repubblica e come Ambasciatori alla Corte Imperiale,l'Imperatore Rodolfo 2° concesse, con Diploma del 29.4.1558, l'uso in perpetuo alla famiglia  dell'arma  imperiale,  che  tuttora  figura  nello stemma Ottoboni di Fiano, con il cimiero dell'aquila bicipite.

   Marco di Marcantonio di Ettore (n. 1554), terzo Cancelliere Grande nel 1639, fu ascritto con i discendenti al patriziato veneto il 24 agosto 1646: nel decreto relativo la famiglia Ottoboni è chiamata degna per antichità, cospicua per cariche e molto chiara per azioni valorose. Egli aveva servito la Repubblica in 26 viaggi e sovvenzionata la guerra di Candia contro i Turchi dando 100 mila ducati alla Repubblica; in precedenza era stato segretario del Senato nel 1584 e segretario del Consiglio dei Dieci nel 1619.

Papa Alessandro VIII

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Papa Alessandro VIII

Stemma papale

Pietro Vito  (1610-1691),  figlio di  Marco  e  di  Vittoria Tornielli,  dopo gli  studi  giuridici  e canonici  a Padova iniziò la sua carriera di prelato romano ricoprendo varie cariche: fu referendario di Segnatura, Governatore di Terni, Rieti e Spoleto, nel 1643 fu nominato uditore della Sacra Rota e nel  1652 ottenne la porpora cardinalizia;  fu poi nominato Vescovo di Brescia (1654),di Sabina (1681),di Frascati (1683) e di Porto e S.  Rufina (1687) e dimostrò grandi capacità anche come Datario e come segretario della Congregazionedel S. Offizio.

 

Già nel 1667 era annoverato fra i papabili e il 6 ottobre 1689 fu eletto all'unanimità Papa assumendo il nome di Alessandro VIII (per la sua biografia ved. le numerose opere esistenti). Nel suo testamento del 6 marzo 1690 Alessandro VIII riconobbe come suoi unici eredi di sangue i nipoti Antonio, Pietro e Marco: solo quest'ultimo ebbe discendenza (ved. appresso) e quindi altre famiglie che oggi portano il cognome Ottoboni (oltre 400 in Italia distribuite in 177 Comuni) nulla hanno a che vedere con questa stirpe.

 

   Antonio di Agostino fratello del Papa fu nominato dalla Repubblica veneta Procuratore soprannumerario di S. Marco e Cavaliere della Stola d'Oro con trasmissibilità in perpetuo ai suoi discendenti primogeniti (1689):era stato Castellano di Bergamo nel 1674, Podestà di Feltre e di Crema(1682) e fu nominato dal Papa suo Zio Generale di S.R.C., Principe e Assistente al Soglio Pontificio; fu uomo di amena letteratura e lasciò molti componimenti lirici e drammatici.

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 Antonio Ottoboni

           Pietro (1667-1740), figlio di Antonio, fu nominato Cardinale il 7 novembre 1689 col titolo di S. Lorenzo in Damaso e fu  inoltre nominato Governatore di Fermo,  Segretario dei memoriali, Soprintendente Generale dello Stato Ecclesiastico, Legato ad Avignone, Gran Priore di Ibernia, Segretario del S. Offizio,vice Cancelliere di S.R.C.,Protettore della Corona di Francia (1709). Fu letterato e gran cultore e mecenate delle arti e nel palazzo Fiano al Corso  istituì,  su  disegno  dell'arch. Iuvara,  un  teatro rimasto celebre anche successivamente:sotto i suoi auspici sorse l'Arcadia, cui per primo si iscrisse Alessandro VIII.

       Marco di Agostino (1656-1725), nominato cavaliere del senato veneto con i discendenti, sposò Isabella Tarquinia Colonna e in seconde nozze Giulia Boncompagni Ludovisi; il Papa suo zio lo provvide di una ricchissima biblioteca, composta di oltre 20.000 volumi a penna e stampa, e lo nominò Generale delle Galere e della Marina Pontificia e Castellano di Castel S.Angelo. Con atto del 18.4.1690, previo chirografo di Alessandro VIII e suo fedecommesso del 6.3.1690, Marco acquistò dai Ludovisi il Ducato di Fiano; l'inventario dei beni ricadenti nella "primogenitura" fu registrato nell'Archivio Urbano il 30.12.1718.Il 21.10.1690 acquistò, sempre dai Ludovisi, il palazzo Fiano al Corso e il 4.3.1723 ottenne la concessione in perpetuo della Cappella gentilizia nella vicina Chiesa di S.Lorenzo in Lucina, detta cappella di San Giuseppe (inspiegabilmente distrutta nel 1940 per farne il sepolcro del Card. Carlo Cremonesi + 1943).

        Morto  il  15 aprile  1725 Marco Ottoboni, restò erede  la figlia Maria Francesca (1715-1758)  che sposò  il  6.1.1731 Pietro Gregorio Boncompagni Ludovisi ( 1709-1747) il quale, in conformità al fedecommesso papale, prese il nome, le armi e i titoli degli Ottoboni e continuò la famiglia. Benedetto XIV°con  Breve  del  21.1.1758,  dispose  che  il  cognome Ottoboni fosse unito a quello dei Boncompagni  e così  lo usarono i discendenti di Pier Gregorio. Figlia secondogenita di Marco fu Maria Vittoria (1721-1790), moglie del duca Gabrio Serbelloni, che fu donna d'eccezionale cultura ammirata da Pietro Verri, grande attrice, animatrice di un noto salotto politico-letterario a Milano e apprezzata poetessa lirica.

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Cardinale Pietro Ottoboni

Pier Gregorio Boncompagni Ottoboni

       Da Pier Gregorio nacquero Alessandro, Antonio, Pietro che fu monaco benedettino e Marco (1741-1818) che sposò nel  1795 Giustiniana  Sambiase  Sanseverino  di  Vincenzo  (1777-1833) principessa di Campana,  duchessa di Crosia e contessa di Bocchigliero con trasmissibilità ai discendenti. In ossequio al  motuproprio  del  6  luglio  1816  fece  rinuncia  alla giurisdizione feudale su Fiano il 22.12.1817 conservando la  ereditarietà in infinitum del titolo onorifico del feudo. Fu capitano  nelle  milizie  austriache, Balì gran croce di giustizia professo  costantiniano e poi commendatore di S.  Pietro e Paolo in Sicilia  (2.1.1787),   Vicecastellano  di  Castel S.Angelo (1789), Cameriere di spada e cappa di Pio VI, colonnello comandante del reggimento pontificio dei Verdi  e  ispettore generale della Compagnia delle Corazze pontificie (1795);  nel  1795 Pio VI lo nominò generale delle milizie pontificie e Pio VII suo Cameriere segreto di spada e cappa (1800); nel 1809 fu nominato da Napoleone componente del  senato a Roma.  Suo fratello Antonio (1736-1803) fu canonico di S. Pietro e Gran Priore d'Ibernia dell'Ordine di Malta.

      Marco ebbe tre figli: Luisa nata nel 1799 , Giovanna nata nel 1802 e maritata nel 1822 al marchese Gerolamo Serlupi Crescenzi Mellini  Cavallerizzo Maggiore di  S.S. PioIX e Balì gran croce di giustizia costantiniano, Alessandro nato nel 1805, alfiere nelle milizie pontificie, Cameriere  segreto  di  spada  e  cappa  di  Pio  VII (1821), ciambellano dell'Imperatore d'Austria (1830); sposò nel 1831 Costanza Boncompagni Ludovisi.

 

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  Marco    Ottoboni

 

Marco figlio del  predetto Alessandro,  nacque nel  1832 e sposò nel 1857 Giulia Boncompagni Ludovisi (1839-1897): fu Senatore del Regno, Consultore della Consulta Araldica e Presidente della Giunta Permanente della medesima, cavaliere  d'onore  e  devozione  dell'Ordine  di  Malta  (1855);  la Congregazione Araldica Capitolina,  il  17.1.1854,  iscrisse Marco fra i  nobili  romani  coscritti  come appartenente a famiglia  principesca  romana  che  annoverò  fra  i  suoi componenti un Sommo Pontefice.  Ebbe due figlie;  Costanza maritata al principe Mario Ruspoli e  Luisa maritata al conte Carlo Rasponi. 

 

 

       Alla morte di Marco (29.3.1909) lo storico archivio di famiglia fu depositato il 28.2.1910 presso il Vaticano (ora all'archivio storico del Vicariato di Roma) e la successione Ottoboni pervenne in un primo tempo ad Augusto Ruspoli dei principi di Cerveteri, figlio di Costanza, il quale fu autorizzato ad assumere nome, titoli e stemma Ottoboni (R.D.3.3.1907, RR. LL.PP. 16.4.1911). Morto anch'egli senza discendenti, Cesare dei conti Rasponi (figlio di Luisa) con R.D. 17.4.1921 fu autorizzato a sostituire il cognome Rasponi con quello Ottoboni e con  RR.LL.PP.  15 luglio  1923  a succedere nei relativi titoli di principe (mf),duca (mpr),duca di Fiano (mpr), nobile romano (mf),coscritto (mpr),patrizio genovese (m),patrizio veneto (mf), patrizio napoletano (m) e patrizio pisano (m), con trattamento di don e donna; sposò Giulia dei conti Folchi Vici e morì improle nel 1957.

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Serlupi Crescenzi Ottoboni

Francesco Serlupi

di Gerolamo e di Giovanna Ottoboni

Stemmi

Serlupi Crescenzi e Ottoboni

    

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 In conformità all'istituto della  "surrogazione romana"  e  alle norme successorie previste nel fedecommesso familiare istituito da Papa Alessandro VIII con suo Breve del 6.3.1690(in carenza di figli maschi, succedono per volontà papale i discendenti per linea femminile purchè nati da matrimonio religioso e assumano nome e arma Ottoboni),  il marchese Don Domenico Serlupi Crescenzi patrizio romano prosegue ora, quale  attuale titolare  di  diritto  della " primogenitura familiare perpetua Ottoboni",con il connesso titolo di Duca di Fiano, il casato e le tradizioni storico - araldiche degli Ottoboni essendo stato autorizzato con Decreto del Presidente della Repubblica del 22 novembre 1977 ad assumere, aggiungendolo al proprio, il cognome Ottoboni per la sua diretta discendenza dalla principessa donna Giovanna Ottoboni dei duchi di Fiano moglie del M.se don Girolamo Serlupi Crescenzi Mellini.Nello stesso spirito S.M. Umberto 2° nel gennaio 1980 concesse il proprio Assenso, previo parere favorevole della Commissione araldico-genealogica romana del C.N.I., all'ampliamento dello stemma Serlupi Crescenzi con quello Ottoboni.

                     

 

 

Arma

troncato: sopra d'oro all'aquila di nero bicipite coronata del campo sulle due teste; sotto: trinciato d'azzurro e di verde alla banda d'argento; con l'ornamento della Basilica Papale e il cimiero dell'aquila bicipite.

 

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Stemma Serlupi Crescenzi Ottoboni

 

Nota sul "Ceto dei Principi e Duchi Romani"

   La Consulta Araldica del Regno d’Italia, con deliberazione sanzionata dal Governo, adottò le seguenti “massime” in merito al ceto in questione:

1°) è riconosciuta l’esistenza del “ceto” dei Principi e Duchi romani, rappresentanti l’antico baronaggio romano;

 

2°) ai Capi delle suddette Famiglie spetta il titolo di Principe e Duca appoggiato sul cognome: le Famiglie stesse sono Principesche e Ducali Romane;

 

3°) il ceto dei Principi e Duchi Romani è ristretto alle sole famiglie che furono riconosciute tali dalla Congregazione Araldica Capitolina nella seduta del 17 gennaio 1854 (solo quelle che avessero ricevuto questi titoli dal Romano Pontefice e che avessero in Roma il loro principale domicilio);

 

4°) il trattamento antichissimo spettante a dette famiglie viene riconosciuto col titolo di Don prefisso al nome di battesimo nel capo della famiglia (ai figli compete il titolo di Don e Donna dei Principi e dei Duchi ), con l’uso di speciali ornamentazioni araldiche (ma la prevista pubblicazione ufficiale al riguardo non venne mai emanata), e col trattamento di “Eccellenza” (poi disconosciuto –con norma giuridicamente discutibile perché in contrasto con l’uso codificato nello Stato Pontificio- con massima del 18 novembre 1926).

 

I Capi delle Famiglie principesche e ducali romane, individuate dalla Congregazione Araldica Capitolina il 17 gennaio 1854 e iscritte fra i nobili e patrizi romani in ottemperanza alla volontà sovrana espressa nel Chirografo del 2 maggio 1853, sono i seguenti:

Principe Aldobrandini, Duca Altemps, Principe Altieri, Principe Barberini, Duca Barberini di Castelvecchio, Principe Bonaparte, Principe Boncompagni Ludovisi, Duca Bonelli, Principe Borghese, Duca Caetani, Duca Cesarini, Principe Chigi, Principe Colonna di Paliano, Principe Colonna di Sciarra, Principe Corsini, Principe Doria, Duca Lante, Principe Ludovisi Boncompagni, Principe di Montholon, Principe Odescalchi, Principe Orsini, Duca Ottoboni, Principe Pallavicini, Principe Rospigliosi, Principe Ruspoli, Duca Salviati, Principe Santacroce, Principe Strozzi, Duca Caffarelli, Duca Grazioli, Principe Conti, Duca Torlonia, Principe Torlonia, Duca Braschi, Principe Del Drago, Principe Gabrielli, Principe Massimo, Duca Massimo, Principe Spada

 

A queste famiglie la Consulta Araldica del Regno aggiunse poi gli Sforza-Cesarini (succ. Cesarini), i Giustiniani-Bandini (per sentenza) e i Lancellotti (già Massimo).

 

Fra le sopra elencate famiglie la Congregazione Araldica Capitolina individuò quelle che ebbero nel loro seno uno o più Pontefici e che quindi “in qualche modo parteciparono della sovranità”, iscrivendole fra i “coscritti”:

 

Aldobrandini, Borghese, Altieri, Barberini, Boncompagni Ludovisi, Caetani, Chigi, Colonna di Paliano, Colonna di Sciarra, Corsini, Doria Pamphili, Ludovisi Boncompagni, Odescalchi, Orsini, Ottoboni, Rospigliosi.

 

A queste ultime famiglie spetta nello stemma l’ornamentazione della “Basilica”, cioè il Gonfalone della Camera Apostolica accollato alle chiavi pontificie.

 

In conformità alle consuetudini vigenti negli Stati della Chiesa, sono comprese a pieno titolo, negli elenchi  sopra riportati, sia le Famiglie originarie che le Famiglie “surrogate”, con surrogazione “piena” o “mista” (es. Doria Pamphili, essendo papale la Pamphili ) indifferentemente.

 

Per quanto concerne la corona, Fabrizio Barbolani di Montauto, nel suo “Manuale di Araldica”, scrive che i Principi romani usano sormontare il tocco rosso con due archi contornati da perle sostenenti un piccolo globo cimato da una crocetta il tutto d’oro, con il cerchio d’oro gemmato, mentre Carlo Mistruzzi di Frisinga, nel suo “Trattato di diritto nobiliare italiano”, asserisce che i Principi romani adottarono “il cerchio con il risvolto di ermellino come quello dei Principi del S.R.I., dato che il Papa è depositario della dignità del S.R.I.”.

 

Si ricorda infine che, per antica tradizione, sono assimilati ai Principi romani, nel rango e nel trattamento, i Marchesi romani detti “di Baldacchino”, che il Conte Carlo Cardelli, al pari di altri autori, indica nei Patrizi, Theodoli, Afan de Rivera Costaguti, Serlupi, Sacchetti e Soderini (“La tribune de la noblesse romaine au Vatican”, inedito in Archivio Cardelli, Roma).

 

Per altre notizie sull’argomento si rinvia all’interessante articolo del M. R. Mons. Karel Kasteel Segretario di una Congregazione Vaticana, in Almanach de Gotha 2001, vol.2°, p. 759-763.

 

Generalmente -afferma l’illustre Autore- i Principi creati dalle due principali fonti d’onore non sono dello stesso rango: i Principi Romani ovunque avevano la precedenza sui Principi del S.R.I.. Perciò la nomina principesca imperiale, concessa ad alcuni Principi Romani, non aumentava la loro dignità e in alcuni casi il titolo non è stato usato.

 

Le famiglie ducali e quelle dei marchesi di baldacchino (fra queste Mons. Kasteel cita i marchesi Serlupi Crescenzi) erano considerate quasi appartenenti alla stessa categoria e tutti i componenti godevano del trattamento di Don e Donna.

 

I Capi delle Famiglie Papali e le loro legittime consorti godono del trattamento di “Eccellenza”, dato anche ai Capi delle Famiglie Principesche Romane. Indipendentemente dai loro titoli, i Capi delle Famiglie Papali sono stati tradizionalmente considerati -prosegue Mons. Kasteel- come “pari” dalle Famiglie Sovrane, essendo questa cortesia dovuta al fatto che il Sovrano Pontefice è riconosciuto come “Pater Principum et Regum” dai Monarchi Cristiani e come rappresentante della prima e più antica monarchia cristiana.

 


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Prima dell’Antonelli (Riv.Ar. 1903) avevano trattato  l'argomento Gaetano Moroni,  il  Conte de Tournon e il Conte Capogrossi Guarna, mentre successivamente la materia non ha avuto particolari approfondimenti nè da parte della Consulta Araldica nè degli studiosi se si eccettuano due articoli di Domenico Serlupi Crescenzi apparsi sulla Rivista del Collegio Araldico (1963 p. 153 e 10/1968) ed una nota di Aldo Pezzana (4-5-6/1975 p. 119).

 

     Com’è noto, l'unico diritto riconosciuto dalla  legislazione nobiliare del Regno d'Italia è quello del trattamento di don (art. 39, 2° comma lett. B) dell'Ordinamento del 1943) che menziona genericamente le famiglie marchionali romane così dette di Baldacchino nella stessa norma che riguarda  le famiglie principesche e ducali.

 

   In effetti da parte della Consulta Araldica, non è mai stata emanata una massima che definisca i criteri per stabilire quali  siano  in  concreto  queste  famiglie;  ed  è  logico - afferma autorevolmente il Marchese Aldo Pezzana nella nota citata- perché trattandosi di un'equiparazione essenzialmente morale e sociale alle maggiori famiglie dell’aristocrazia romana è difficile trovare una formula giuridicamente precisa, ma il legislatore ha volutamente lasciata aperta la concreta individuazione, anche in tempi diversi,delle famiglie romane rientranti in  questa tipologia sì da goderne i relativi diritti. Ed a tal fine il Pezzana  indica  testualmente  quali  "elementi  decisivi":  l'importanza  storica e sociale  della  famiglia, la sua posizione nei vari gradi del patriziato romano, i possessi feudali avuti, i Cardinali esistiti nella famiglia (i quali, essendo  equiparati ai Principi  Reali, danno un lustro principesco alla stessa), le alleanze matrimoniali con le famiglie principesche e ducali,le grandi cariche della Corte Pontificia. Fra le famiglie che usarono il "don" l'illustre studioso cita le seguenti: Patrizi Naro, Theodoli, Capranica del Grillo, Costaguti, Falconieri, Massimo, Sacchetti, Serlupi, Riccini e Soderini.

 

     Il titolo di marchese di baldacchino non venne mai concesso come tale con atto del Sovrano Pontefice (ad eccezione dei Sacchetti e dei Riccini di Mantova, questi ultimi "ad personam"),  ma venne assunto unilateralmente  da alcune famiglie cospicue già marchionali, adottando, nel corso del XVII-XVIII sec., le prerogative e le forme che erano proprie a Roma dei Cardinali, dei Vescovi, del Senatore, dei principi e duchi. Si trattava in particolare, come risulta dal testo di un'istanza rivolta a Papa Pio VI da alcuni marchesi feudali che desideravano avere conferma ufficiale dei loro privilegi, dell'uso dell'ombrellino, dell'andare in Roma con prima  e  seconda  carrozza, dell'usare il Noi nei bandi feudali, del godere dell’eccellenza, dell’innalzare il baldacchino  in sala e nelle sale di  udienza dei  feudi,dell'usare il manto di  ermellino sullo stemma.  Siamo di fronte ad una particolare usanza dell'araldica romana dove la  volontà  privata  forma  usi  ed  istituti  codificati nell’ ambito   delle   famiglie romane, al di fuori dell'intervento dell'autorità sovrana che però li accetta,li dichiara aventi valore legale, ma non li regolamenta: per tale ragione alcuni studiosi vi hanno  ravvisato a ragione la sopravvivenza dei principi giuridici caratteristici del diritto romano con la prevalenza della volontà privata.

 

     Storicamente si può ricordare che la denominazione di marchesi di baldacchino veniva agli inizi usata per indicare i marchesi romani godenti di un feudo con effettiva giurisdizione  e  Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, ci dice come lo divenne nel 1640 Bernardino Naro quando ottenne che la contea di Mustiolo fosse elevata a marchesato precisando che "sin da allora la nobilissima famiglia romana Naro usò il baldacchino e l'ombrellino celeste oltre il cuscino coperto di drappo di tal colore". Nell'800, dopo le rinunce feudali (1816-18),la denominazione in questione venne ad indicare nella prassi comune quei primari marchesi che dal Cerimoniale della Corte Pontificia  erano  considerati al di sopra dei normali marchesi ed assimilati nel trattamento e nelle precedenze al ceto dei principi e duchi romani. Godevano ad esempio, fra gli altri, del privilegio di  essere  ammessi  all’udienza pontificia  con  la spada ed il cappello in mano e di intrattenersi direttamente nell'anticamera segreta al pari dei principi, degli ambasciatori e ministri di sovrani, del Senatore di Roma e di Bologna, dei Grandi di Spagna, dei Generali militari, dei Camerieri Segreti di Cappa e Spada Partecipanti, degli Esenti della Guardia Nobile di S.S. di servizio e dei Ciambellani di alcune Corti (più recentemente lasciavano il cilindro sulla consolle dell'anticamera segreta). Tutti gli altri dovevano depositare il loro copricapo nella "Sala della Bussola" all'inizio dell'appartamento papale. Le dame romane di famiglie principesche, ducali o marchionali di baldacchino in udienza dal Pontefice portavano il guanto sinistro infilato, mentre tutte le altre tenevano i guanti in mano.

 

     Si ricorda inoltre che alcune antiche  famiglie  patrizie romane  indicate come coscritte nella Bolla Benedettina godevano secolarmente di elevate cariche nella Corte Pontificia come quella di Cavallerizzo Maggiore di S.S. dei Serlupi Crescenzi, di Foriere Maggiore dei Sacri  Palazzi Apostolici  dei  Sacchetti, di Vessillifero di S.R.C. dei Patrizi Naro Montoro, di Sovrintendente Generale delle Poste dei Massimo (che, prima di essere creati principi, erano marchesi), di Maestro del Sacro Ospizio dei Ruspoli, di Latore della Rosa d'Oro dei Soderini;  i titolari di tali cariche erano compresi fra i Camerieri Segreti di Cappa e Spada Partecipanti, ai quali erano riservati trattamento e precedenze proprie anche dei  principi e facevano parte della Famiglia Pontificia Laica.

 

     Queste famiglie marchionali e poche altre di analoga elevata posizione  sociale (Theodoli,Costaguti,Falconieri, Capranica) erano di fatto equiparate nel trattamento e nelle precedenze  ai  principi  (pur  non  godendo  di  speciali concessioni, come ebbe a riconoscere anche la Congregazione Araldica Capitolina) e venivano comunemente indicate come "di baldacchino" in base ad uno degli elementi onorifici più significativi ed esteriormente evidenti  che contraddistinguevano appunto i principi.

 

      Già nel 1864 Octavian Blewitt scriveva nella sua pubblicazione "A handbook of Rome and its environs" (ed. J. Murray, Londra, p. XXXIV): "...four families -the Marquises of Patrizzi, Serlupi, Sacchetti and Theodoli -who occupy an intermediate position between the Roman Princes and inferior nobility, under the name of Nobles of the Canopy (Nobili del Baldacchino), from having, amongst other privileges, that of exhibiting the throne of the Princes and Dukes in their antechambers.". E nell'edizione successiva del 1867 John Murray confermava:"...four families — the Marquises of Patrizzi, Serlupi, Sacchetti, and Theodoli — who occupy an intermediate position between the Roman Princes and inferior nobility, under the name of Nobles of the Canopy (" Nobili del Baldacchino"), from having, amongst other privileges, that of placing the feudal throne, with the blue parasol and kneeling cushion of the Princes and Dukes, in their antechambers."

 

     Ad iniziare dall’Elenco Provvisorio delle famiglie nobili e titolate della Regione Romana (1899) e dal successivo Elenco Ufficiale definitivo  del 1902 ed attraverso diversi e successivi riconoscimenti dell'Autorità Pontificia  (per i Serlupi nel 1912 e per i Sacchetti nel 1932) e della Consulta Araldica (per i Patrizi, Theodoli, Costaguti,Soderini e Falconieri), lo status particolare di alcune famiglie venne consolidandosi anche col riconoscimento del trattamento di don.

 

    Il Prof. Nicola La Marca dell'Università La Sapienza di Roma nella sua recente pubblicazione "La nobiltà romana e i suoi strumenti  di perpetuazione del potere" (Bulzoni  editore, 2000, v. l° p.106, v. III p. 842) indica le famiglie marchionali romane aventi il  "diritto di baldacchino" nei Sacchetti, Patrizi, Serlupi, Costaguti e Theodoli, specificando che tre di esse ricoprivano cariche ereditarie presso la Corte Pontificia. Nella pubblicazione  di  B. Berthod e P. Blanchard "Tresors inconnus du Vatican" (2001) alla voce "Baldaquin" si citano le sei famiglie marchionali romane dette di Baldacchino, traendo la notizia dall'Archivio Cardelli: Cavalieri (estinta nei Soderini), Astalli (estinta nei Theodoli), Crescenzi (continuata dai Serlupi), Costaguti (Afan de Rivera), Patrizi e più tardi Sacchetti. Le specificate famiglie avevano dunque il privilegio di poter  innalzare nelle  loro sale  il  baldacchino con una poltrona rivolta verso il muro per servire nell'eventualità di una visita del Sovrano Pontefice a queste case (molte delle quali facenti parte, come già notato, della "Famiglia Pontificia"), come ricorda il compianto Conte Carlo Cardelli patrizio romano coscritto e Delegato di Roma dell'Ordine di Malta nel suo lavoro inedito dal titolo " La tribune de la noblesse romaine au Vatican", citato ed in parte riportato da Jean Chelini nel suo "Il Vaticano ai tempi di Giovanni Paolo II"(ed. bur). Le stesse famiglie sono elencate anche da Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni in "Appunti per una interpretazione storica della definizione di marchesi di baldacchino " ("Storia del diritto nobiliare italiano", ed. IAGI, 2004, vol. I, pag. 594-6) , da Alessandro Panajia in "I Palazzi di Pisa" ( ed. ETS, 2004, pag.63 e nota 126) e da Maurizio Bettoja in "I mobili araldici" (VivaRoma, marzo 2005).

 

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 Webmaster Fabio Serlupi d'Ongran - Testo di Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni .  

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